Lo spogliatoio, il luogo in cui ci si spoglia. E’ nel verbo spogliare, infatti, che voglio cercare il significato più profondo, senza soffermarmi al puro atto del togliersi gli indumenti.
Parto dall’origine della parola spogliatoio per un viaggio tra i miei più cari ricordi, alla ricerca di aneddoti che ci aiutino a capire meglio l’importanza di questo magico luogo, nella nascita e nel mantenimento di una sana cultura di squadra.
La prima volta che sono entrato in uno spogliatoio
Nella pagina di questo blog chiamata Curriculum Commentato (Leggi qui) ho raccontato i miei primi passi sportivi:
…”Il passaggio dal campetto alla squadra non fu indolore. Iniziarono le prime regole del team, le dinamiche dello spogliatoio, gli arbitri, gli allenamenti, un primo pezzo di poesia se ne andò ma acquistai altri margini di consapevolezza…Il passaggio dalla modalità individuale del campetto (ognuno gioca per sé) alla modalità squadra mi tolse e mi diede anche qualcosa. Imparai che dovevo giocare per gli altri e lo feci anche troppo, per certi versi. Venne fuori il mio senso di appartenenza al gruppo e, da goleador del campetto, mi trasformai in centrocampista avanzato, quello che serve assist agli altri, per farli segnare. Non ero io, ero un altro io. Sempre forte, non fortissimo. E fu così sempre di più nella mia crescita…”
Tutto iniziò da uno spogliatoio, anzi definirlo tale è un tantino esagerato…
La prima volta che mi recai al campo avevo otto anni, vidi una costruzione in muratura, un campo di calcio spelacchiato e intorno la periferia di Verona.
Entrai in questo posto stretto, umido, non proprio pulito, dove c’erano altri ragazzini con le borse, seduti in attesa dell’allenatore. Dopo quarant’anni quel vecchio spogliatoio è ancora là, il campo è ancora spelacchiato. Tutto uguale come prima, l’unica differenza è che intorno sono cresciuti palazzi e non ci sono più terreni incolti a perdita d’occhio.
Le prime impressioni
La mia timidezza mi dava una certa ansia. Capii subito che stavo entrando in contatto con qualcosa di nuovo.
Questo è il grande potere, la grande magia del gioco di squadra: uscire dalla propria zona di comfort (il campetto senza regole con gli amici) ed entrare nella zona di stress.
Ero nuovo, tutti mi guardavano e c’era reciproca curiosità, condita da una buona dose di diffidenza. Poi, ad un certo punto, entrò un omone, l’allenatore. Calò il silenzio, iniziò a parlare, le teste di tutti si abbassarono sulle borse ai nostri piedi. Mi presentò alla squadra: da lì iniziai a frequentare regole, abitudini e riti dello spogliatoio.
Il superamento delle insicurezze al cospetto degli altri
Nell’inglese locker room (spogliatoio) è la stanza dell’armadietto (locker) in cui riporre i propri spazi e indumenti sportivi. Per me, invece, è stato il luogo d’incontro e di confronto con gli altri. Fin da subito, il luogo in cui rompere le prime timidezze.
Ricordo a tal proposito, la difficoltà di bambino a mostrarmi nudo sotto la doccia. Racconto ogni tanto di come lo spogliatoio, inteso come gruppo di persone e non come muri di cemento, mi abbia portato a spogliarmi per la prima volta di fronte ad estranei. Non ne volevo sapere e per mesi feci la doccia, dopo la partita, con gli slip.
Ero bravo e spesso giocavo con i più grandi. L’allenatore, quell’omone che avevo imparato a conoscere, mi convocava spesso con le categorie superiori. Un bel giorno, gli anziani della squadra mi tesero una trappola. Finita la partita, mentre mi stavo accingendo a fare la doccia con indosso i miei slip, mi circondarono, mi spogliarono e mi buttarono sotto la doccia di prepotenza tra le risate generali.
Fu un momento fondamentale nella mia crescita. Non solo avevo superato un blocco grazie alla squadra ma mi ero sentito accettato da tutti.
Finimmo quel pomeriggio tra gli scherzi e tornai a casa felice. Da quel momento il rapporto con gli altri compagni di squadra fece un salto di qualità. Anzi, la mia vita di bambino migliorò perché avevo vinto, la mia autostima si era alzata. E ci ero riuscito grazie agli altri, non da solo. Il vero senso di squadra e di appartenenza non mi ha più abbandonato.
L’incontro con il mito
Da quel giorno, anche se ragazzino, girai tanti spogliatoi, in giro per il Veneto, poi per l’Italia. Fino a quando nel 1978 a 14 anni incontrai il mito: gli spogliatoi dello Stadio Filadelfia di Torino, lo stadio del Grande Torino di Valentino Mazzola.
Mi ricordo ancora il primo giorno in cui mi presentai al Filadelfia. (vedi la mia esperienza al Torino Calcio. Leggi qui.). Per tutto il viaggio in treno, mio padre mi aveva decantato le gesta del Grande Torino. Al mio arrivo trovai una struttura fatiscente che, però, trasmetteva il senso della storia e della leggenda.
Gli spogliatoi erano sotto la tribuna dove si trovava l’appartamento del custode, e quattordici stanze che servivano oltre ai giocatori ed all’arbitro, anche l’infermeria, la direzione. Dagli spogliatoi attraverso un sottopassaggio si raggiungeva il terreno di gioco. Tutto era antico.
Qui i granata vinsero sei dei loro sette Scudetti. In questa struttura il Torino è rimasto imbattuto per sei anni, 100 gare consecutive, dal 17 gennaio 1943 alla tragedia di Superga.
Che meraviglia. Io ero paralizzato da questa cosa ma, superata la prima impressione, mi ritrovai di fronte lo staff di allenatori. Non si parlò di calcio ma di storia, quella del grande Torino e della grande rivalità con la Juventus.
Fin da subito, l’ho capito solo crescendo, ci stavano trasmettendo i valori della società Torino Calcio e il senso di appartenenza.
Avevamo tutti gli occhi lucidi e l’orgoglio di essere lì. Cresceva il senso di responsabilità.
La consegna delle magliette granata, con il toro stilizzato, al primo allenamento fu il suggello di quella giornata fantastica, allo stesso tempo ricordo indelebile e formativo.
Tutto avvenne al chiuso di uno spogliatoio, dove il rumore della porta che si richiudeva dietro le spalle aveva il suo perché. Da quel momento, parlava solo l’allenatore, anche i magazzinieri stavano in silenzio e iniziava il rito dell’allenamento o il prepartita, era tutto solo concentrazione e nessuno poteva sgarrare.
Gli spogliatoi del Filadelfia non sono stati gli unici. Ho visto spogliatoi di stadi di Serie A, Serie B, francesi e tedeschi ma i ricordi più dolci li ho quando ripenso agli spogliatoi dei miei tornei amatoriali. L’odore della canfora, il tè d’inverno, il rumore delle risate, anche le liti, quante ne ho viste. Tutto iniziava e finiva lì dentro, anche quando si litigava. Poi si usciva e si dimenticava tutto.
Valori, regole, abitudini e riti
Lo spogliatoio è il luogo dove nascono e si rafforzano i valori della squadra. Si stabiliscono regole e organizzazione del team a cui ogni partecipante deve attenersi con scrupolo.
Nella mia esperienza prima di atleta, poi di fianco a coach, ho visto gestioni molto diverse da parte degli allenatori del cosiddetto “clima spogliatoio”. Di certo una cosa ha sempre accomunato tutti gli stili: il rispetto della segretezza e il forte senso di appartenenza tra i componenti della squadra.
Lo spogliatoio è un insieme di persone che stanno insieme in modo organizzato. Esse sono unite da valori comuni che superano quelli individuali. Uno dei falsi miti è che si debba essere tutti amici.
L’unione dello spogliatoio non è fondata sull’amicizia ma sui valori, sulle abitudini da rispettare e sui riti che sono in vigore all’interno. Si stabiliscono le regole e si fissano le sanzioni in caso di mancato rispetto.
Tutto nasce quando si apre la porta, tutto finisce quando la porta si richiude dietro le nostre spalle.
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Si ringrazia Fondazione Stadio Filadelfia per le immagini e i cenni storici. Clicca qui.
Se vuoi approfondire meglio la mia storia leggi Curriculum Commentato. Clicca qui.
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