Era il 1° maggio 1994. All’autodromo di Imola, vicino Bologna, moriva Ayrton Senna, il più grande pilota di tutti i tempi. Sono passati trent’anni, fiumi di lacrime e di inchiostro sono stati versati sulla sua leggenda.
In questo articolo, però, voglio raccontare, il mio piccolo ricordo personale di quei giorni e di quest’uomo che, in una delle mie tante vite, ho avuto l’emozione di incontrare, anche se per pochi minuti.
Di quei brevi istanti esiste, da qualche parte, una mia fotografia, insieme a lui, che non ho mai più ritrovato. Fu scattata due anni prima della sua morte, il 15 agosto 1992 a Budapest, circuito dell’Hungaroring, nel giorno della incoronazione a Campione del Mondo di Nigel Mansell.
Il mio apprendistato in Camel
Sono passati trent’anni e premetto di non essere mai stato un grande appassionato di velocità e di motori. Non ho mai posseduto una moto e neanche un motorino, le mie passioni si perdevano dietro ad una palla in un campo d’erba; tra le mie richieste continue, a casa, c’era l’acquisto di un pallone o la maglia di un campione di calcio; la bicicletta è stato il mezzo sportivo a due ruote che più si è avvicinato alla moto e in auto vado poco anche oggi.
Eppure, c’è stato un periodo in cui la mia strada si è avvicinata per un attimo al mondo dei motori e della Formula Uno.
Nel 1991 subito dopo la mia laurea, entrai nella agenzia stampa bolognese della Camel, la nota marca di sigarette, che all’epoca era sponsor in Formula Uno. Fu una esperienza di un paio di anni in cui imparai tutti i primi rudimenti della comunicazione scritta. Avevo un ruolo semplice, ero correttore delle bozze per i comunicati stampa che il mio boss scriveva dopo ogni Gran Premio. Pochi minuti e il pezzo doveva partire per le testate sportive italiane: Gazzetta dello Sport, Corriere dello Sport e tanti altri giornali del settore. (Vai alla pagina Il mio curriculum commentato. Leggi qui.)
I miei primi Gran Premi
All’inizio svolsi questo lavoro in ufficio a Bologna, poi fui mandato in giro per l’Europa a seguire i Gran Premi, a volte in staff, a volte da solo. Ricordo ancora Barcellona, Monza, Imola, Inghilterra e appunto Budapest 1992. Quell’anno, come ricordavo all’inizio, vinse Mansell ma nel mio cuore c’era un unico desiderio: avvicinarmi ad Ayrton Senna che era l’unico che aveva saputo accendere il mio cuore.
Credo che il suo mito nel mio cuore sia nato perché mio zio da piccolo mi regalò la Lotus John Player Special, la mitica macchinina gialla e nera. Era bellissima, elettrica e telecomandata. Ci giocai tantissimo. E nel 1986 quando Ayrton si mise alla guida di quella mitica scuderia, il mio cuore capitolò.
Ho sempre avuto un debole per il Brasile calcistico e per il verde oro in generale. Lotus e Ayrton brasiliano, un binomio che mi fece impazzire.
L’amore sportivo per Ayrton Senna
L’amore sportivo per Ayrton durò, da quel momento, tutta la vita. Amavo non solo le sue prodezze, di cui francamente a livello tecnico capivo e capisco ancora poco.
Credo che i miti dentro di noi nascano per i motivi più disparati. Il mito di Ayrton in me nacque non solo per la macchina gialla e nera ma soprattutto per una certa affinità caratteriale. Dolce, colto, introverso, pacato ma determinato, gentile e coraggioso. Erano questi sentimenti che mi trasmetteva durante le interviste e mi ripetevo sempre che, se avessi avuto la possibilità di parlare in pubblico, avrei voluto essere così.
Il weekend più tragico della Formula 1
Ricordo benissimo quel weekend del 1994. Da pochi mesi avevo terminato il prezioso lavoro in agenzia di stampa e mi trovavo nella mia casa bolognese, stranamente solo. Il Gran Premio di Imola è il nostro gran premio di casa, quello che ti giochi qua vicino, a pochi chilometri di distanza. Molti amici e conoscenti migravano verso Imola, come accade ancora oggi, anche per gli altri circuiti vicini, Misano e Mugello, per le auto e per le moto.
Quel weekend di Imola era iniziato con strani presagi. Il venerdì ci fu una terrificante uscita di Barrichello con la Jordan volata a oltre 200 chilometri orari contro le barriere di protezione. La vettura, dopo aver compiuto due rotazioni in aria, si era praticamente disintegrata ma il pilota si salvò per miracolo.
Fu il primo segnale di avvertimento perché il giorno dopo, turbato ancora da quelle immagini televisive, mi collegai per le qualifiche del sabato e vidi la morte in diretta, con la fatale uscita alla curva Villeneuve (altro ricorso…) dell’austriaco Roland Ratzenberger, cui si staccò l’ala anteriore.
E non era finita…La domenica del Primo Maggio la gara iniziò di nuovo con una collisione tra Letho e Lamy che provocò feriti sia ai box che in tribuna per il volo impazzito di detriti – poi, quella maledetta curva del Tamburello, in cui si schiantò Ayrton Senna.
Bologna, i ricordi di quei terribili momenti
Solo davanti alla televisione, vedevo Ayrton immobile e capii subito, come tutti, la gravità, di quell’incidente.
Ascoltavo le notizie che a poco a poco arrivavano e vidi in televisione l’elicottero, durante la diretta, che portava via il pilota. Sapevo che lo avrebbero portato all’ospedale Maggiore, qui a Bologna e feci l’unica cosa che mi sentii di fare in quel momento. Uscire di casa e provare ad andare in centro. Se ci penso oggi feci una cosa senza senso; eppure, quella cosa, scoprii, dopo, la pensarono tantissimi.
Senna fu dichiarato morto alle 18.40 a Bologna. Guidato, da informazioni frammentarie che dicevano che lo avrebbero trasportato all’istituto di medicina legale di via Irnerio, mi ritrovai insieme a migliaia di persone in lacrime lungo la strada. Fu l’unico modo possibile per toccare con mano il mito e la leggenda di un pilota che ha rappresentato l’ultimo poeta romantico di uno sport che non esiste più e che oggi è profondamente cambiato.
Il mondo, in realtà, stava cambiando e l’Italia pure. Non lo sapevamo ancora ma era così. dopo trent’anni siamo ancora qui a rimpiangere non solo l’uomo ma anche un’epoca che non c’è più e un modo di fare poesia con lo sport che è solo un lontano ricordo.
E la mia fotografia con Senna?
E la foto con Ayrton? Tornato a casa con gli occhi gonfi di lacrime, quella sera la cercai dappertutto, misi sottosopra la mia casa di Bologna e poi anche quella di Verona ma niente. A distanza di tanto tempo quella foto persa è uno dei miei più grandi rimpianti.
Ci ho pensato tante volte e nel mio cuore spero che salti fuori, all’improvviso, da qualche scatolone…
Sono arrivato a pensare che non sia mai esistita o che sia stato solo un mio sogno, uno di quelli che alimentano i miti e le leggende dei grandi sportivi; oppure un’altra magia del pilota brasiliano che era soprannominato ‘Magic’ perché in pista era capace dell’impossibile e pensava che “non esista curva dove non si possa sorpassare”.
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