A fatica raggiungo il posto auto, raccatto tutto il raccattabile dall’abitacolo e mi fiondo in ascensore con la borsa da lavoro che oggi mi sembra più pesante del solito. Un unico pensiero: salire a San Luca, correre, isolarmi, pensare o non pensare, nutrirmi di paesaggi mentre le mie gambe girano. E rinascere a nuova vita per il giorno dopo. Sì, perché correre a San Luca per me è una regola (Cit. Luca Carboni, Bologna è una regola).
Ore 19.00 di un giorno qualunque di settembre particolarmente duro. Sono uscito davvero steso dal mio ruolo HR, come mi capita spesso. Parlare con tante persone ogni giorno, in one to one, significa entrare nella vita di ognuno. Problemi personali, conflitti, situazioni sentimentali in crisi, rapporti controversi in famiglia, tutto quello che può demotivare sul lavoro esce dal corpo della risorsa e finisce nel mio, con un transfert immediato. Ho scelto questo, mi piace, mi emoziona, mi consuma.
Premessa
Oggi non ero lontano da casa ma il traffico di Bologna a quest’ora rende tutto più lento: la tangenziale, i viali, il quartiere dove vivo da sempre, Saragozza Funivia, sembra una centrifuga. La musica della radio mi salva, Van Morrison è il primo raggio di luce. Penso: “Che cosa ha creato questo genio? Si può fare un esordio discografico così, dal 1968 al 1970 di questa portata? Epico!! Crazy Love la canto a memoria. Guardo fuori dal finestrino per carpire che aria può tirare lassù, a San Luca; sta calando il sole, l’ora che preferisco.
La svestizione e la vestizione per rinascere
L’ascensore e, poi, sono arrivato in casa. Non trovo nessuno, il mio gatto sbadiglia, mi guarda curioso mentre azzanno la borsa sportiva convinto che ci sia l’occorrente dentro. Naturalmente non c’è quasi niente e inizio la spasmodica ricerca di tutto quello che mi serve per correre mentre lancio camicia e giacca da lavoro dove capita.
Calza elastica, pantaloncini da running, maglietta (oramai piuttosto consumata) con dedica “Forrest goes to New York” della mia amica Sara. Un giorno si è messa lì e l’ha scritta a mano. Forrest è il soprannome che mi ha dato, mi piace e ci sono affezionato. Dice che corro sempre e non mi fermo mai un po’ come Tom Hanks nel film. Era un augurio per la maratona di New York. La maglietta portafortuna.
Mi serve la bandana che contiene i miei lunghi capelli, nella corsa possono dare fastidio. Ah, le scarpe… Dove ho messo le scarpe? Naturalmente sul terrazzo ma non lo ricordavo, eccole. Vai, ci sono quasi.
Ho sempre concepito la mia corsa come un momento di passaggio da una vita, quella lavorativa, ad un’altra, quella personale. La svestizione e la vestizione hanno questo significato per me. Cambiare, rinascere. Non riuscirei a concepire la pratica sportiva in pausa pranzo per poi tornare in ufficio oppure prima di andare al lavoro al mattino. L’alba, l’aurora con lo sport sono momenti meravigliosi che regalo alle mie vacanze e al tempo libero.
Il crepuscolo prima di San Luca
Il tempo scorre veloce, è inclemente, devo arrivare prima che il buio vinca il crepuscolo, quel momento magico che non può sfuggirmi. Ha inizio quando il sole scompare completamente sotto l’orizzonte (dura 1 ora e 12 minuti primi) ed è chiamato anche l’ora blu. Io devo essere lì quando questo succede, devo essere in viaggio verso il Colle della Guardia, verso san Luca. Esco giusto in tempo. E’ quasi il tramonto.
Il riscaldamento
Il mio maestro di running, Vito Melito (l’articolo dedicato a questo piccolo grande uomo è in preparazione), mi consigliava sempre di non iniziare a correre subito. Per lui la gamba andava riscaldata bene prima della corsa. Le prime tabelle che mi diede erano impostate con 10-15 minuti di camminata. E’ esattamente il tempo che separa casa mia dall’Arco del Meloncello, la meta designata per iniziare la salita.
Carico il timing e le impostazioni sulla APP dello smartphone, quindi mi incammino, direzione via Porrettana. Le luci del tramonto si accompagnano a quelle delle vetrine che sono ancora accese. Ce l’ho fatta, sono in strada all’ora desiderata e inizio a pregustarmi lo spettacolo.
Mentre cammino, la Basilica di San Luca mi sovrasta sulla destra, illuminata già da qualche frate operoso che ha acceso le luci. Non sempre io e i frati di San Luca siamo sincronizzati: capita che nel salire, le luci del portico siano ancora spente ed è un vero peccato.
Ai piedi dell’Arco del Meloncello
Ci sono, da casa in 15 minuti esatti sono ai piedi dell’Arco del Meloncello. La camminata non è solo riscaldamento ma è anche concentrazione. In quel quarto d’ora, le tossine di una giornata pesante iniziano ad uscire dalla mia testa e dal mio corpo. Respiro, rinasco, è bellissimo.
Il percorso che dal Meloncello porta alla Basilica di San Luca è costellato di gradini, tratti in salita, tratti piani, gradoni. Un circuito atletico che il più bravo preparatore atletico non avrebbe saputo creare. Il resto ce lo devo mettere io, con la mia fantasia e con la voglia di variare, ogni volta.
Ora sono solo di fronte allo start. Per me la partenza è proprio lì, di fianco all’entrata del mitico Bar Billy, un pezzo di storia di Bologna.
Si sale ma non subito, ancora riscaldamento
I primi 10 metri di gradoni che ti fanno salire al Meloncello sono in realtà l’inizio di un vero e proprio ciclo per me. E’ giusto ricordarlo: quando dico che vado a correre a San Luca, in realtà faccio un ciclo misto, senza mai interrompere la corsa che comprende altre integrazioni come lo skip.
Il percorso si presta in modo magnifico a variare l’intensità della corsa e l’uso dell’alternanza con vari esercizi. Per esempio, appunto, lo skip. Lo skip alto viene chiamato corsa a ginocchia alte quando i muscoli coinvolti nell’esercizio sono principalmente quelli degli arti inferiori: polpacci, quadricipiti, lombari e tutta la muscolatura addominale. Quando invece le ginocchia rimangono sotto l’altezza del bacino, si parla di skip basso. I gradini del portico li uso così mentre corro così faccio lavorare in modo completo le gambe.
Sempre, prima di partire, mi soffermo a fare stretching 5 minuti proprio sotto l’Arco del Meloncello.
Quindi nei primi 20 minuti circa da casa mia all’Arco del Meloncello, il mio ciclo detox è così composto:
- 15 minuti di camminata
- stretching 5 minuti
- skip medio o basso prima scalinata
Credo che questa maniacalità e cura verso il mio corpo, unite ad una sana costituzione fisica, siano state e sono ancora il segreto dell’assoluta assenza di infortuni nella mia vita. Non ho mai saltato un impegno sportivo, partita o allenamento per infortuni muscolari, nessuno stop. Come racconto in altre occasioni su questo blog, anche i miei periodi di inattività sono paragonabili ad una macchina parcheggiata in garage per molto tempo ma integra. La devo sempre curare e mantenere pronta all’uso.
Il primo tratto di corsa per San Luca
Voglio raccontarvi una cosa sulla prima parte della corsa. Vito mi consigliò il segreto per non farmi male. Intanto, insisteva per salire da via San Luca e non sotto il portico perché in strada ti fai meno male, le caviglie soffrono meno e i tendini pure. Anzi per lui la salita da via di Casaglia era perfetta perché più morbida. Sempre a Vito devo la corretta impostazione del corpo mentre si sale. Salire spingendo sulle punte dei piedi ti fa stancare meno le gambe e resistere fino all’arrivo.
Vito aveva ragione… dal suo punto di vista. Lui era un purista della corsa; io mi definisco un ibrido, forse sarei più vicino ad una qualche forma di disciplina mista: corsa, palestra, calcio, padel, running. Esiste da qualche parte una disciplina così? Non credo ma se esistesse, io appartengo a questa, sono un “pentatleta” di questa disciplina.
Quindi con Vito grandi discussioni su quale strada prendere, io pensavo ad un allenamento ibrido, lui puntava tutto sulla corsa ma ci siamo sempre voluti bene.
Ci siamo, sono partito. E ho preso la strada del portico. Ogni tratto di scalini accelero facendo skip alto medio o basso.
E mi porto pian piano nel primo tratto di corsa, spesso interrotto da qualche tempo da lavori di restauro e di pulizia che seguono alla nomina dei Portici come patrimonio mondiale UNESCO arrivata il 28 luglio 2021.
Tutto bene fino alla Curva delle Orfanelle
Continuo a salire, intervallando scalini, tratti piani e in pendenza non esagerata. Va tutto bene fino alla curva delle Orfanelle. La salita che è iniziata al Meloncello a 55 m s.l.m. ora mi vede presente nel tratto più ripido, poco dopo il punto in cui la strada passa sotto il colonnato.
La curva è nota come delle orfanelle, in quanto antistante a un ex orfanotrofio femminile. Qui si soffre davvero ma è un fattore mentale, si va in sofferenza perché si è a metà circa del percorso mentre l’inganno mentale è che si pensa di essere più su. L’ideale è arrivare a questo punto che è arrivato il crepuscolo. Continuo lo skip ad ogni gradinata e le gambe si impegnano non poco, sono felice così, soffro.
C’è ancora luce, il sole è calato all’orizzonte e l’ho visto prima della curva. Meraviglioso. Potete immaginare come lo stacco mentale che segue ad una giornata di lavoro stressante possa essere totale. E’ un clic. Tutto ti sembra lontano.
Che cosa penso quando corro?
Superato questo tratto, la mente inizia a mandare messaggi al mio corpo.
” Dai che hai superato quasi metà percorso, dai Paolo che quando arrivi sarai felice! Ora soffri ma poi sarai ripagato”. Era un gioco che facevo anche negli interminabili allenamenti del calcio per non mollare, con in sottofondo la voce del mister che mi urlava ad ogni giro di campo. Ora tutto mi torna utile, anche a 57 anni.
Che cosa penso quando corro? E’ una domanda che mi pongo, chiaramente non quando corro ma a riposo. Alcuni amici mi hanno chiesto questa cosa. Credo che ognuno abbia una risposta diversa. Io posso rispondere per me. Avete presente un flipper? Quella pallina che schizza da una parte all’altra del campo di gioco? Bene, questo è lo scarico dei miei pensieri mentre corro. Posso solo dire che le idee e le soluzioni che trovo correndo non le troverei in nessuna riunione HR o corso di formazione in aula.
Per questo la formazione esperienziale è stata per me poi una scelta di campo. Niente è utile come quando metti in sollecitazione il tuo corpo, lo fai sudare, i muscoli delle gambe ti tirano e sali questi gradini così diversi uno dall’altro, che ti sembrano gradoni.
Quando corri la tua mente vola da un pensiero all’altro ed è come un palloncino che si sgonfia, i pensieri come l’aria escono mentre ascolti anche le voci di chi ti passa a fianco, immagazzini pensieri nuovi, abbandoni i vecchi, chiudi cicli.
Per ora mi fermo qui, senza accorgermene ho scritto un sacco di parole. Ci vediamo per il secondo tempo. Che cosa guardo quando corro? L’avvicinarsi della vetta, la Basilica, il ritorno, la discesa al buio con le sole luci del portico. Grazie a tutti per l’attenzione.
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Crediti fotografici Lorenzo Orlandini. Visita il suo sito. Clicca qui.
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