Ed ora che cosa scrivo? Il mio Curriculum Vitae? Cenni sulla mia carriera? Parlo di me? Mah, forse la cosa migliore è non avere schemi e lasciare andare il cuore, con sincerità. E così farò. Molte di queste parole non sono un semplice esercizio autoreferenziale ma il racconto di successi e fallimenti che mi hanno portato, poi, a costruire una professione, Human Resource Manager e formatore.
Spero che questo “Curriculum commentato” possa essere utile a comprendere perché e come il talento da solo non sia sufficiente. La costruzione di attitudini e competenze è un percorso non sempre lineare, è un viaggio formativo trasversale, in cui le singole esperienze danno forma a capacità che solo l’allenamento continuo può perfezionare.
Infanzia e sport – Le prime competenze (1972-1978)
Fin da piccolo sono sempre stato attratto da quello che gli altri pensavano e facevano ma non lo davo a vedere. Ero un osservatore introverso, non timido, un bambino spensierato e vivace. Gli altri per me erano fonte di comprensione: un gesto, una smorfia, un silenzio. Tutto questo mi incuriosiva e stimolava la mia attrazione per la mente umana.
Istruzione e sport, in fondo, sono sempre andati di pari passo. A 8 anni un piccolo amico mi convince ad entrare nei pulcini di una squadra di calcio del quartiere, nella città dove sono nato, a Verona. Non ne avevo granché voglia. E infatti ci mise un po’ di tempo a convincermi. Mi divertivo già molto, e di più, nei campetti vicino casa, forse intuivo che dovevo ingabbiarmi e non mi andava molto.
“Dai Paolo, sei forte, sei bravo, vieni a darci una mano..” e alla fine quel corteggiamento funzionò.
Il passaggio dal campetto alla squadra non fu indolore. Iniziarono le prime regole del team, le dinamiche dello spogliatoio, gli arbitri, gli allenamenti, un primo pezzo di poesia se ne andò ma acquistai altri margini di consapevolezza.
I primi schemi, le prime vittorie e le prime sconfitte, partite ufficiali, le famiglie, i genitori al seguito mi stavano modellando il carattere. All’epoca vivevo questa crescita con inconsapevolezza e con qualche difficoltà. Il passaggio dalla modalità individuale del campetto (ognuno gioca per sé) alla modalità squadra mi tolse e mi diede anche qualcosa. Imparai che dovevo giocare per gli altri e lo feci anche troppo, per certi versi. Venne fuori il mio senso di appartenenza al gruppo e, da goleador del campetto, mi trasformai in centrocampista avanzato, quello che serve assist agli altri, per farli segnare. Non ero io, ero un altro io. Sempre forte, non fortissimo. E fu così sempre di più nella mia crescita.
Che sofferenza, però, le partite, persi spensieratezza. Soffrivo la pressione pre gara anche da piccolo, non accettavo di sbagliare, il mio perfezionismo non mi faceva accettare errori che sono da considerare parte del gioco. Giocavo partite benissimo ma alla fine mi ricordavo solo dell’errore, mai delle 10 cose fatte bene.
Nei primi 6 anni di sport ho maturato senso di appartenenza al gruppo, rispetto delle gerarchie, disciplina, utilità per gli altri, gioco di squadra, valori familiari, gestione del perfezionismo.
Dal divertimento al lavoro (1978-1983)
A 14 anni arrivò la chiamata di una grande squadra di Serie A: il Torino.
Mi volevano nel settore giovanile e mi trasferii nel capoluogo piemontese. Nel frattempo, per non privarmi di nulla, mi ero iscritto al Liceo Classico. Prima a Verona, nel mitico Liceo Ginnasio Scipione Maffei, poi a Torino nell’altrettanto mitico Liceo Ginnasio Massimo D’Azeglio.
Non potevo accettare di lasciare indietro la mia crescita culturale. Fino a quel momento il mio rendimento scolastico era stato incoraggiante e supportato da una famiglia che mi aveva giustamente sempre spinto a studiare.
Senza saperlo mi ero infilato in un bel tunnel: da un lato avevo, senza accorgermene, iniziato il mio Curriculum sportivo professionistico, con 5-6 allenamenti settimanali, dall’altro volevo continuare il mio Curriculum scolastico professionale, in una scuola superiore, anche impegnativa.
Non avevo capito di avere tra le mani l’inizio di una professione, per me il calcio era ancora solo divertimento. Durai 4 anni con ottimi risultati. Un giorno la società mi mise di fronte ad una scelta: “Fermati un anno con gli studi – mi dissero – e prova solo a giocare, potresti farcela. Era l’anno della maturità, non me la sentii di interrompere, scelsi di continuare gli studi e di giocare, in realtà scelsi di studiare.
In questi 5 anni di studio/lavoro ho maturato il senso del sacrificio, la determinazione, la gestione della pressione e dello stress, il ragionamento per obiettivi, l’unione familiare.
Istruzione Universitaria e Militare (1984-1991)
Non ne volli più sapere. Mollai il calcio e mi trasferii da Torino a Bologna. Nella scelta della facoltà seguii l’istinto di dedicarmi all’altra mia grande passione: lo studio (anche della mente umana). Mi iscrissi a Giurisprudenza, consapevole che la carriera legale non sarebbe stata la mia strada. Nella scelta delle materie scelsi tematiche legate a criminologia, medicina legale, sociologia, psicologia, scienza delle organizzazioni.
Iniziai l’Università, però, distrutto da 4 anni di doppio carico di lavoro: Calcio + Liceo Classico. Mi stavo ricostruendo un equilibrio. In realtà procedevo a vista, studiavo e osservavo, cercavo di capire dove si trovava la leva della mia nuova motivazione. Non fu facile né veloce trovare una nuova strada.
Prima ci fu bisogno di terminare gli studi, che culminarono in una laurea nel 1991.
Nel mentre feci anche una istruttiva esperienza come Ufficiale dell’Esercito nel 136° Corso Allievi Ufficiali di Complemento 1989 a Bracciano, arma Artiglieria da Campagna.
Siccome dovevo assolvere agli obblighi di leva, decisi di imparare qualcosa in più. E, dopo 5 mesi di training militare e un bel mucchio di esami (potevo non studiare ancora?) diventai Sottotenente di Artiglieria. Per ruolo mi fu assegnata una batteria di 50 ragazzi da guidare, tutt’altro che motivati. Fu un’esperienza utilissima nella gestione delle risorse umane. Il mio secondo vero lavoro, forse il primo davvero consapevole e durò quasi un anno e mezzo!
L’Università e il percorso militare mi rafforzarono vecchie competenze e ne fecero nascere di nuove: sicuramente la disciplina personale, l’automonitoraggio che è la consapevole percezione delle conseguenze delle proprie azioni, l’affinamento del ragionamento per obiettivi, l’allenamento a continui esami a cui lo sport mi aveva già educato.
Prima tappa professionale (1992-1994)
Nel dicembre 1991 mi ritrovai tra le mani, come è normale che sia, risultati positivi e fallimenti, anche dolorosi.
Di fatto, mi sembrava che il mio percorso professionale non fosse ancora iniziato. Certo avevo conseguito una Maturità Classica, una Laurea, mi ero lasciato alle spalle il mio sogno sportivo da bambino che, senza saperlo, mi aveva comunque dato competenze soft importanti.
Da un punto di vista professionale, avendo escluso carriera legale e militare, ripartivo da zero. E qui le mie qualità e competenze soft iniziarono a tornarmi utili.
Con una buona consapevolezza e un buon automonitoraggio, avevo compreso che mi mancavano ancora molte competenze importanti: public speaking, tecniche commerciali sempre utili, miglioramento delle mie conoscenze della mente umana, capacità e competenze informatiche che nel mio percorso umanistico avevo solo sfiorato per gioco e per passione.
Nel biennio 1992-1994 accettai l’offerta a zero (praticantato di fatto) di una grande multinazionale, la Camel, che mi offriva il ruolo di correttore di bozze nella redazione di comunicati stampa sportivi. E lo sport che ritornava ancora!
Il settore era quello degli sport motoristici, in particolare la Formula Uno. Inizio ad entrare nel mondo degli adulti, è il mio ingresso da portaborse laureato nel mondo del lavoro (anche se non retribuito). In realtà stavo studiando ancora, solo che lo facevo lavorando, non più solo su un libro di testo. Guardavo, osservavo, studiavo, giravo i circuiti in cui si svolgevano le gare di Formula Uno e Formula Tre.
La mia mansione era quella di correggere in pochi minuti le bozze degli articoli scritti da importanti giornalisti sportivi e inviarli alle testate dei giornali sportivi in uscita.
Nel frattempo, dovevo mantenermi, vivevo in casa con altri ragazzi e mi sostenevo facendo molti lavori, visto che la mia retribuzione con la multinazionale era un cambio merce. Cameriere notturno, Babbo Natale durante le festività natalizie e addirittura il supporto ad una agenzia di investigazioni private.
In questi due anni imparai davvero tanto: capacità di confronto, lavoro in team professionale, acquisii competenze informatiche imparando tutto il pacchetto Office e il mitico Page Maker, vera e propria icona storica nei software per il giornalismo dell’epoca, sintesi e primi rudimenti di copywriting, tecniche di marketing e commerciali.
Seconda tappa professionale (1994-2004)
Nel tracciare un bilancio dei miei primi trent’anni, nel 1994 iniziava il mio percorso di Human Resource Manager e formatore. Intanto mi trovai di fronte ad una scelta che molti ragazzi conoscono: perseguire un lavoro da dipendente o scegliere la libera professione?
Scelsi la seconda strada. Per istinto più che per calcolo. Avevo vissuto già in quattro città: Verona, Torino, Roma e Bologna. Non mi sentivo radicato in nessun luogo, vivevo nel mio luogo virtuale. Internet si era già affacciato nelle nostre vite, anche se nessuno di noi era consapevole della rivoluzione che stava arrivando.
Il decennio dal 1994 al 2004 fu caratterizzato da due pilastri importanti della mia vita personale e professionale.
Il primo è che la ricerca della luce motivazionale si era accesa. Nel continuare ad elaborare il “lutto” del mio abbandono sportivo, avevo capito che non era stato un abbandono o un fallimento ma una scelta che, per quanto inconsapevole in quel momento, avevo già dentro di me. Per cui chiusi il ciclo e tornai a giocare a calcio per divertimento negli Amatori; la mia vita tornò ad essere sportiva, nel senso vero del termine, priva di quelle tossicità ambientali che non mi erano piaciute e che ancora oggi sono presenti e ingigantite nello sport professionistico.
Il secondo pilastro è che sentivo di dedicarmi alla formazione degli altri. Sentivo di condividere e trasferire le mie esperienze, arricchite da pillole pratiche che potessero essere utili a più persone possibili. La formazione racchiudeva le mie passioni: insegnamento, cultura, studio e curiosità per il comportamento umano.
In questo decennio iniziai dapprima in azienda poi come professionista, a perfezionare lo studio dei profili personali attraverso test, a studiare fabbisogni formativi e costruire percorsi formativi per il mondo aziendale: liberi professionisti, imprenditori, manager, collaboratori e dipendenti.
Ogni competenza acquisita nei primi trent’anni mi tornò utile, anche quella che consideravo più noiosa e insignificante. Tutto si palesava, tutto iniziava ad avere un senso. La voglia continua di imparare qualcosa di nuovo mi portò ad approfondire lo studio e la creazione di organizzazioni: d’altronde, se parti dal formare una persona, poi la devi affiancare ad un’altra e poi un’altra ancora. In sostanza, mi dedicai sempre più ad organizzare team e a capire quali fossero gli schemi, per usare un termine sportivo, più congeniali alla squadra.
HR, formazione, scuola e sport (2005-2021)
Nel fare pace con il mio passato di atleta, lo sport iniziò a rientrare anche nella mia vita professionale. Sono questi gli anni in cui sono nate importanti mie collaborazioni con lo sport: allenatori e giocatori di calcio, allenatori di volley. Queste attività mi spinsero a collaborare con società che si occupano di progettazione di eventi formativi indoor e outdoor, dove l’obiettivo era quello di formare persone attraverso la comparazione tra sport e azienda.
Rugby, ciaspole, orienteering, vela, paddle, calcio, volley e beach volley, arrampicata: ogni disciplina sportiva si presta all’estrazione di insegnamenti pratici e all’educazione verso i valori dello sport, da applicare anche nella vita personale e professionale.
Conclusioni e altro su di me
In questo anomalo e sincero Curriculum c’è una parte di me. Nelle altre pagine di questa HOME PAGE, e negli articoli del blog che nasceranno, troverete altro sulle mie passioni, sui miei hobby e sulla mia vita.
Credo che la vita sia una corsa a tappe, fatta di ripartenze continue e questo si vede in maniera netta, anche da questa pagina.
Ho capito che ognuno di noi cerca la propria realizzazione. Non importa la forma, conta il vero risultato di valore: trovare la propria espressione di sé e metterla in correlazione con l’utilità per gli altri. Non importa se sei calciatore, allenatore, impiegato, operaio, artista, formatore o coach: conta che ognuno di noi possa esprimere il proprio io ed essere utile in modo giusto ed etico per gli altri. Dobbiamo essere consapevoli che le nostre forme di espressione si evolvono perché nulla resta mai immutato.
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